GIANNI DE TORA |
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2008 "Le carte dell'Arte" - Biblioteca Comunale di Caiazzo (CE) 10-23 maggio |
STRALCIO DALL'ARTICOLO DI MAURIZIO VITIELLO SULLA RIVISTA ''IL BRIGANTE'' DI LUGLIO-AGOSTO 2008 |
Caiazzo e Bellona unite dall'arte- Mostre '' Le carte dell'arte'' e ''Aniconico su carta'' Le mostre "Le Carte dell'Arte", a Caiazzo, ed "Aniconico su carta", a Bellona, entrambe realizzate in provincia di Caserta, hanno proposto interessanti opere di Antonio Auriemma, Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Giovanni Ferrenti, Enea Mancino. Tutti gli artisti sono ampiamente conosciuti, tranne a qualche professoressa dell' Università di Napoli, che in un recente lavoro non ha citato alcuni di questi operatori delle arti visive contemporanee, che sono e/o sono stati attivi, e moltissimo, nel territorio. I docenti universitari non sempre hanno il polso della situazione, perché non frequentano le gallerie e né gli spazi che accolgono l'arte contemporanea e si accontentano degli studi e delle prove degli studenti da inserire in qualche tomo bello grosso sul novecento partenopeo. Ricordo che fino a qualche anno fa nemmeno Giuseppe Antonello Leone era conosciuto da docenti dell'università; fui io a metterlo in contatto. Addirittura Philippe Daverio ha scritto sull' artista siglando un catalogo con il titolo "Il caso Leone". Che dire di Antonio Auriemma, che con sottili lieviti cromatici fa trepidare carte immacolate. E' bravo e poetico. Barisani è un grande e non si discute. E' un maieuta. Si è ripreso dal recente colpo al cuore e prosegue imperterrito. Che altro scrivere su di un grande, grandissimo artista; mi sembra quasi superfluo. Lavori su carta di Gianni De Tora, scomparso a giugno del 2007, sono stati recuperati. E' un dovuto omaggio ad un astrattista serio che ci ha lasciati. Carmine Di Ruggiero riprende un suo corso di sperimentazioni verso cui non si è mai staccato e redige con finezza di spirito. Giovanni Ferrenti, brillantemente, con i pastelli erge la sua voglia volumetrica, che fa spaziare in lavori complessi di scultura. Enea Mancino lo conosciamo dagli anni Ottanta. Prosegue con il suo astrattismo geometrico di definizioni e di incastri. Gioca sull'elaborazione, sui colori e sui tagli, sempre pensati. Su tutti questi fior di artisti ho scritto in vari momenti e per varie stesure, ma mi sono reso conto, che oltre ad interventi in cataloghi con più firme, non sono mai stato unico presentatore o primo titolare di saggio per loro cataloghi monografici o autore di contributi estesi per pubblicazioni impegnate........ |
TESTO DI CARLO ROBERTO SCIASCIA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
ASTRATTISMO IN CAMPANIA A metà degli anni Cinquanta e dopo le esperienze geometriche di Renato Barisani, di Renato de Fusco, di Antonio Venditti, di Guido Tatafìore, l'Astrattismo in Campania è stato soprattutto rigore formale, analisi del linguaggio, auto-riflessione sugli strumenti di comunicazione dell'arte visiva. Per queste ragioni ha rappresentato un'esperienza fondamentale, tale da costringere l'artista a mettere in discussione tutto, in definitiva a mettersi in discussione. Dunque, noi vogliamo cogliere la dimensione non prescrittiva, maieutica, se così si può dire, di un movimento che, sull'altro versante, bisogna pure ricondurre ad una dimensione di grande e persino autoritaria coerenza formale e teorica. "L'artista deve essere cieco alle forme note o meno note, sordo alle teorie e ai desideri della sua epoca. Deve fissare gli occhi sulla sua vita inferiore, tendere l'orecchio alla necessità interiore", si esprime così Wassily Kandinsky nel suo testo profetico dell'Astrattismo, dal titolo "Lo spirituale nell'arte", che rivendica per l'arte del Novecento la dimensione interiore, quindi spirituale rispetto al materialismo ottocentesco ed in termini linguistici l'abbandono dell'attitudine descrittiva e quindi la scelta di procedere senza equivoci verso un'arte intesa come costruzione, mettendo perciò in discussione la grammatica stessa della forma. Di qui un mantenersi aderenti al linguaggio geometrico di tanti artisti, pur diversamente sensibili alle suggestioni delle materie, tradizionali e nuove, al naturalismo di forme più liberamente composte, ma anche il senso drammatico del conflitto immanente nel linguaggio stesso, tra l'esigenza del dire, con il rigore della geometria-parola e la coscienza del limite al comunicare, limite per un verso esistenziale e quindi della persona, ma anche sociale e quindi politico. In effetti, un'opera d'arte, se storicamente necessaria, riesce a sopravvivere; ebbene, la ricerca plastica geometrica e/o informale e/o prettamente astratta è quasi una realtà distinta e nuova, creata dall'artista con i soli elementi che ci offre la natura, ma estrapolando da essa la sua essenza lineare e/o cromatica per una naturale evoluzione verso realtà spirituali e verso concetti trascendenti la stessa materia. Dimensione e colore, quindi, per giungere ad un rapporto diretto con una purezza musicale data dall'armonia dei piani e dei volumi nelle loro dimensioni rispettive (bidimensionalità e tridimensionalità), poste su pari livello. Solo così ci si può addentrare nello spazio infinito come nel tempo inesorabile, creando ambiti imprevisti ed imprevedibili in grado di accogliere le proiezioni del pensiero dell'uomo. In alcuni artisti la misura e il rigore critico, consegnati dall'esperienza dell'Astrattismo, si confrontano nel corso dei decenni con altre urgenze, variamente declinate. Il magistero dell'Astrattismo rende questi artisti capaci di dare forma ad un'intensa espressività, di sistemare altre e più specifiche sensibilità, aprendosi alla contaminazione con quanto si va progressivamente delineando nel panorama dell'arte: Espressionismo Astratto, Informale, Pop-Art, Arte Povera, Concettuale, Transavanguardia etc. .. Prima di citare in un brevissimo excursus quegli artisti che rappresentano i vari segmenti della storia recente ed attuale della scultura astratta in Campania, che si sviluppa dagli anni cinquanta ad oggi, ritengo opportuno citare, anche se per sommi capi, la situazione di estremo disagio nella quale gli artisti si sono venuti a trovare negli anni compresi dal 1950 al 1965, quando tra varie polemiche ed isolamenti spesso si sono perduti di vista non solo le vicende dei singoli, ma anche, talvolta, i lineamenti essenziali di una obiettiva sintesi storica. Le vicende dell'arte astratta a Napoli si susseguono con logica continuità, certamente non resa grazie ad una decisa ricerca individuale, ma soprattutto causata dalla vivacità e dalla varietà delle sedimentazioni e dei collegamenti culturali, rinnovantisi di generazione in generazione, negli ultimi decenni del Novecento; esse seguono tragitti che, nonostante continui divagamenti, fughe, sconfinamenti, riflussi, andirivieni, tentennamenti e slittamenti, in particolare per quanto attiene gli ultimi due decenni, appaiono oggi di chiara lettura. In quell' ambiente artistico, quello napoletano, che in quegli anni nel suo insieme evidenzia un carattere contraddittorio, impegnato o gratuito a seconda dei casi, da un lato si collocano in questo panorama i protagonisti del figurativo, uno per tutti Augusto Perez - dall'altro, le nuove ricerche del MAC napoletano, a quelle del Gruppo 58, a Carmine Di Ruggiero, con le sue indagini materiche e strutturali e via via fino ad Antonio Auriemma con i suoi mondi cosmici, di sapore surreale-astratto, e a Giovanni Ferrenti, le cui intuizioni lo portano a percorrere una strada dove la scultura non è più centripeta nei confronti dello spazio, ma centrifuga, trasparente, filtrante. Ad Enea Mancino, con la sua ricerca di elementi di una grammatica formale appartenenti al discorso storico dell'astrattismo geometrico, fino alle recenti indagini di Gianni De Tora sui problemi di serialità a partire dalla individuazione di elementi semplici di base con la successiva ricomposizione dei dati su fondamenti essenzialmente sintattici di tipo trasformativo. |
TESTO DI FRANCO LISTA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
ASTRATTISMO COME PURIFICAZIONE Nella sua più immediata fenomenologia, il rapporto che lega i sei artisti in mostra appare quasi una correlazione diretta del pensiero di Clement Greenberg, quando questi sostiene che l'astrattismo è l'ineluttabile risultato processuale del fare arte. Ovvero, l'arte, allontanandosi progressivamente dalle allucinazioni del realismo, subisce una sorta di "purificazione" che la porta al pieno dominio del campo pittorico. Il suggestivo saggio di Greenberg, contenuto nel recente libro "Alle origini dell'opera d'arte contemporanea", curato da Di Giacomo e Zambianchi, ci rinvia a quell'unico contenuto astrattivamente sensibile, puro e originario, della pittura. La ricerca di questo contenuto mi sembra, in buona sostanza, il filo ermeneutico che lega il lungo lavoro dei nostri artisti, assicurandone sia la profondità dei linguaggi, variamente orientati, sia quella particolare aura emozionale, evocatrice del mistero della pittura, che sempre accompagna l'arte astratta. Lo sguardo di insieme, appena delineato, potrebbe contribuire a un ulteriore approfondimento del vasto repertorio di forme d'espressione astratta, nell'area napoletana, indipendentemente dai modi rappresentativi e dalle declinazioni individuali dei singoli artisti. Intanto, occorre dire, si è già formata in proposito una cospicua letteratura storico-critica che coglie, attraverso un non semplice lavoro di sistematizzazione, i tratti storici e qualitativi della ricerca napoletana. Antonio Auriemma, Renato Barisani, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Giovanni Ferrenti e Enea Mancino sono tra i principali protagonisti di questa annosa ricerca che intreccia varie vicende; vanno visti, soprattutto in relazione al loro contesto storico e ambientale, come autentici battistrada di una ricerca che ha effettivamente portato le arti visive napoletane ad una condizione di necessaria e rinnovata "purificazione". "Le vicende dell'arte astratta a Napoli, scrive con efficace penetrazione critica Carlo Roberto Sciascia, si susseguono con logica continuità ... soprattutto causata dalla vivacità e dalla varietà delle sedimentazioni e dei collegamenti culturali, rinnovatisi di generazione in generazione, negli ultimi decenni del Novecento". I nostri artisti sono quelli che rifuggirono dalla facile accessibilità del figurativismo, svolgendo un ruolo, pur con paradigmi diversi, assolutamente pionieristico ed esemplare. Ricusarono senza alcun indugio quella generale condizione di "imagomania" che sempre di più si andava affermando e rispetto alla quale Roland Barthes notava la nostra totale dipendenza, così forte da anteporla agli "ideali dell'etica o della religione". Certo, al di fuori delle categorie canoniche, non è difficile percepire il rigore, la sensibilità, la forte passione contro la spregiudicata mercificazione delle immagini del nostro tempo. Sono questi aspetti e valori che riverberano soprattutto nelle opere in mostra, dando conto della forte incidenza etica della lunga e straordinaria stagione dell'astrattismo nella nostra recente storia artistica. |
locandina |
TESTO DI GIORGIO AGNISOLA SUL CATALOGO DELLA MOSTRA |
LA CALDA PRONUNCIA DELL'ASTRATTISMO PARTENOPEO Mi sembra che una particolare fisionomia segni la produzione artistica campana nell'arco temporale che può delinearsi dall'astrattismo all'informale: una fisionomia non identificabile con una declinazione stilistica e leggibile piuttosto nel momento di annodare i fili nascosti del senso e della connotazione psicologica della produzione artistica, del suo portato umorale e spirituale; una fisionomia che potrebbe definirsi di sostanziale rinnegamento, pure all'interno di collaudati e generali percorsi della ricerca, di un' espressione puramente cerebrale ed emotivamente distaccata. Raramente infatti l'arte partenopea degli ultimi decenni interpreta modelli astratti privi di quella dinamica visiva che si legge anche come testimonianza di una passione artistica e di una partecipazione ispirata: un segno distintivo che verosimilmente è comune a molta arte meridionale e che negli artisti campani acquista una cadenza rilevabile in particolare nell'opera di alcuni dei suoi maggiori più giovani e meno giovani protagonisti. Carmine Di Ruggiero per esempio, che ha a lungo indagato l'uso promiscuo dei materiali in una prospettiva geometrica, ma anche in una dinamica materica, testimonia in maniera esemplare il continuo sforare il dato puramente astratto-visivo, annettendo alla ricerca una pronuncia più interna e non di rado una trascrizione di sé intimamente lirica. L'arte di Renato Barisani, il decano degli artisti partenopei, che indaga da decenni una geometria connotata da vigilantissimi equilibri formali, ha sempre inseguito una calda armonia visiva. La sua arte risuona all'interno del dettato visivo, non è chiusa nel rigore dei segni, ma si apre a forme e volumi che catturano o annettono intensamente i piani e la luce in un equilibrio formale e compositivo che fondano potrebbe dirsi sul molteplice senso percettivo dello spazio in chiave luministica ed emozionale. Anche Gianni De Tora, artista recentemente scomparso, ha testimoniato nei lavori della seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, in cui forme cromatiche libere e brillanti campiscono luoghi interni e prospettici dello spazio visivo, una tensione intimistica, affidata alla dialettica tra il dinamismo scenografico dei segni e rigido e ribaltato gioco dei piani di luce. Le costruzioni geometriche di Enea Mancino sono articolatissime trame costruttive che puntano al recupero di un equilibrio "miracoloso" e non di rado solenne della forma: di un luogo di origine si direbbe del linguaggio visivo, che si interpreta a partire da un centro reale e immaginario, matematico e intuitivo, in cui si può leggersi tanto una ordinata idea mentale quanto un principio spirituale, inglobando lo spazio in una sorta di riverbero a catena, solo in apparenza consequenziale, in realtà annesso sulla scorta di una fine e lucida tensione psicologica. Le stesse sculture di Giovanni Ferrenti, di cui sono note le grandi strutture in metallo, in cui pure è intuibile una tensione meccanicistica oltre che compositiva e una singolare allusione ad mondo organico e naturale, sono incomprensibili senza una prospettiva di luce, che sfiora il metallo, penetra i giochi dei trucioli di ferro, gli agglomerati da utensileria meccanica e ne svela le trame segrete, la superficie ora rugginosa ora lappata, i complessi ingranaggi, i misteriosi meccanismi. Una luce che non di rado è leggerezza nei tentacoli di una forma che non è mai statica, anche negli assetti più pesanti e aspira a liberarsi nell'aria mite del paesaggio partenopeo. La cifra pittorica di Antonio Auriemma si situa infine in un suggestivo territorio di confine tra astrazione e sogno. L'immagine non è il luogo del riconoscimento della forma, ma del suo velamento, del suo traslato onirico, del suo transito fantastico. Le sue opere sono un delicatissimo racconto di forme misteriose che s'inseguono nello spazio lievitato e improbabile di una dimensione totalmente interna. E' il fine traslato nello spazio astratto di un intimismo romantico e poetico, a un tempo misterioso e familiare, il tracciato simbolico di una pacata e dolce narrazione psicologica, ma anche la ricerca di un luogo di equilibrio, sintetico e finale, in cui coniugare come in una preghiera ansia e armonia. |
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